Diritto e Scienza Medica


Mascarello Anna 5F & Ventimiglia Michele 5C
Diritto e Scienza Medica
Per poter parlare del diritto in ambito medico è necessario introdurre il concetto stesso di diritto, tramite due punti di vista: in senso oggettivo è il complesso di norme giuridiche, che comandano o vietano determinati comportamenti ai soggetti che ne sono destinatari; in senso soggettivo, invece, è la facoltà o pretesa, tutelata dalla legge, di un determinato comportamento attivo od omissivo da parte di altri.
Senza la necessaria distinzione, altrettanto fuorviante potrebbe essere il significato che si attribuisce alla parola “scienza”, che non può essere riduttivamente intesa come disciplina singola, mentre è semmai l’insieme di tutte le discipline basate sull’osservazione di natura ed esseri viventi e sull’esperimento.
In particolare analizzeremo una branca fondamentale del sapere che della scienza si avvale: la medicina, studio delle malattie del corpo umano al fine di garantire la salute delle persone, in particolare riguardo alla definizione, prevenzione e cura delle malattie, oltre alle diverse modalità di alleviare le sofferenze dei malati (anche di coloro che non possono più guarire).
Queste due definizioni sopra riportate sono strettamente legate, poiché il diritto e chi di dovere (come il legislatore) si occupa anche di tutelare l’ambito medico, tramite ad esempio la regolamentazione dell’attività sanitaria e dell’accesso alle professioni, oppure stabilendo le responsabilità mediche e garantendo i brevetti farmaceutici.
Ci sono vari processi di regolamentazione; un esempio basilare potrebbe essere quello per cui, partendo da un’esigenza di regolazione, si arriverà a una regola astratta tramite numerosi processi tra cui un esame degli interessi comuni e una scelta politica discussa e approfondita.
Una seconda possibilità parte da un vero e proprio “caso concreto” per raggiungere sempre lo stesso fine: un’ipotesi di legge; in questo caso, però, si partirà dall’interpretazione delle norme in campo, discutendole fino al raggiungimento di una decisione definitiva che tenga conto di tutte le leggi preesistenti riguardanti tale ambito.
Fondamentale in questo studio è la diatriba su cosa sia la morale e come si debba tenerne conto nella formulazione di una nuova legge.
La morale è l'insieme dei valori o principi ideali in base ai quali l'individuo e la collettività decidono liberamente la scelta del proprio comportamento. Tali valori si originano dalla realtà sociale e politica, si riferiscono all'organizzazione economica e giuridica, si rifanno alle tradizioni di una collettività e quindi mutano nel loro percorso storico.
Seppur apparentemente messa in secondo piano dalla società, la morale è invece presa in considerazione, con le dovute mutazioni di prospettiva ma pur sempre in riferimento a norme basilari, nella formulazione delle leggi che ogni giorno il nostro legislatore realizza, non solo in ambito medico, ma qualunque sia la problematica da affrontare.
Per tutti questi motivi e nel rispetto dei vincoli segnalati, particolarmente importante è la funzione del diritto nell’ambito della scienza medica, principalmente in due momenti: la formulazione di una norma giuridica, detta “genesi", e l’applicazione della norma stessa.
Alla base della genesi della norma giuridica vi è l’esigenza della regolazione di situazioni che riguardano ad esempio nuove malattie o nuove figure professionali che prima non esistevano; in secondo luogo avviene quindi la valutazione degli interessi in campo come l'esigenza della tutela della salute o l’esigenza di remunerazione del personale medico e paramedico. Ultimo e fondamentale punto prima della formulazione di una nuova norma è quello che si basa sulla scelta politica ovvero la decisione che il legislatore assume sia tenendo conto di quella che abbiamo prima definito morale sia in base alle conoscenze che la scienza medica ha fornito nel corso della storia.
Due esempi ben noti di questo procedimento sono sicuramente la non brevettabilità di metodi chirurgici, terapeutici e diagnostici e la brevettabilità dei farmaci; i primi infatti sono da ritenersi, secondo la morale, un bene comune alla società intera e quindi necessariamente devono essere a disposizione di tutti in quanto pratiche che possono essere eseguite in ugual modo da ogni medico. Per quanto si possa pensare valga lo stesso per i farmaci, è invece diverso. Nonostante questi siano in maggior parte un bene necessario e indispensabile per la comunità, essi sono frutto di lunghe e dispendiose ricerche che spesso fanno fronte ad elevati costi di produzione: se quindi si privassero dei ricavi le società o aziende che si occupano di ricerca e sviluppo di farmaci non si farebbe altro che convogliare queste risorse verso altri settori commerciali più remunerativi, in quanto i produttori non riuscirebbero più a gestire i costi di ricerca e di produzione; si frenerebbe quindi il progresso in campo medico farmaceutico.
Analizziamo ora l’applicazione di una norma: supponiamo che un medico non rispetti le best practices (migliori pratiche) in un intervento chirurgico. È compito del giudice anzitutto interpretare le norme in campo e quindi verificare se il caso concreto rientri in una norma astratta. Il giudice compie poi la sua scelta in base alle norme in campo, valutando le conoscenze medico scientifiche e la morale.
La creazione di una norma concreta avviene invece con un differente iter: prendiamo ora il caso dell’eutanasia passiva (in un contesto oggettivo, privo di qualsiasi rivendicazione politica) prima della DAT (termine con cui si definisce un documento che racchiude le scelte della persona in merito ai trattamenti sanitari a cui non vorrebbe essere sottoposto nel caso venisse meno la sua possibilità di intendere, decidere e comunicare la propria volontà e si trovasse in una condizione di salute che, secondo le più moderne conoscenze medico-scientifiche, non fosse più suscettibile di miglioramento e recupero); in questo caso vi era l’assenza di una norma giuridica da applicare al caso concreto, verificandosi una cosiddetta lacuna normativa, per cui il giudice interviene osservando le norme che regolano casi simili e sempre seguendo le linee della morale e della scienza medica.
In questo ambito vi sono 3 esempi nonché casi noti: il caso di Eluana Englaro, il caso di Piergiorgio Welby e il caso di Marco Cappato.
Nel caso di Eluana Englaro vi fu un dibattito sull’interruzione delle cure che mantenevano in vita la giovane, vittima di un incidente stradale e attaccata, in stato vegetativo, alle macchine ospedaliere per 17 anni. La causa tra la sua famiglia e lo stato fu vinta dai famigliari; Eluana morì così per cause naturali.
Piergiorgio Welby, a causa di una malattia quale la distrofia muscolare, fu costretto all’immobilità e a cure mediche continue; rimasto sempre cosciente si oppose fermamente all’accanimento terapeutico, il che andava contro le leggi in vigore in Italia, fino a che non gli fu concesso di sospendere le cure e quindi di morire.
Marco Cappato fu invece recentemente accusato (nel 2017) per avere assistito al suicidio l’ormai conosciuto dj Fabo, tetraplegico e cieco dopo un incidente avvenuto in Svizzera. Autodenunciatosi e andato a processo, Cappato non fu condannato.
Nonostante in Italia vi sia una continua e crescente lotta per l'autodeterminazione che si manifesta in casi come quello dell’eutanasia, non vi sono ancora norme chiare e specifiche al riguardo. Queste anzi evolvono sempre di più con casi di rilievo nazionale come quelli sopracitati. Si auspica quindi in una forte presa di coscienza da parte dello Stato e delle istituzioni in questo ambito nella speranza di porre fine a diatribe che gravano sui diretti interessati e sulle famiglie causandone dolore e sofferenze.



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